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UNIVERSITA’ DI SIENA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA

Roberto Fondi*

CONTRO LA DOTTRINA DELL'EVOLUZIONE BIOLOGICA

(IL PUNTO DI VISTA DI UN PALEONTOLOGO)

I tre postulati di base della dottrina evoluzionistica

Anche ripensando alle recenti trasmissioni televisive sui Dinosauri imbastite da Piero Angela, ove dilettanti e professionisti hanno regolarmente insistito nel presentare la dottrina dell'evoluzione senza la benché minima ombra di dubbio o riserva, ci sentiamo in dovere di rimarcare nella maniera più netta che una tale dottrina, ben lungi dall'essere confermata dai risultati delle scienze naturali, non è altro che uno dei miti sui quali è stato edificato e dei quali continua ad alimentarsi il mondo moderno.

Questa affermazione potrà sorprendere e irritare. E' convinzione generale, infatti - che per quanto sia lecito discutere circa la validità o meno di ciascuna interpretazione relativa al meccanismo con cui può avere operato l'evoluzione dei viventi (inclusovi quello darwiniano della selezione naturale agente su variazioni fortuite di piccola entità), sarebbe tuttavia assurdo e ridicolo mettere in dubbio la realtà di quest'ultima quale fatto naturale. Poiché però, in realtà, i termini esatti del problema non sono così semplici come possono sembrare a prima vista, sarà bene fissarne in partenza il significato e la portata.

Se con la parola "evoluzione" si vuole intendere il fenomeno del semplice succedersi nel tempo delle differenti forme viventi che via via hanno popolato la Terra, è evidente che un tale fenomeno corrisponde ad un fatto reale come la luce del Sole. I fossili dimostrano senza possibilità di equivoci che nelle epoche passate sono esistite flore e faune anche estremamente diverse da quelle odierne, e nessuno ha illustrato questo fatta con maggiore passione di Georges Dagobert de Cuvier (1769-1832), fondatore della paleontologia moderna e convinto avversario delle idee di Jean-Baptiste Monet de Lamarck (1744-1829), vero padre della dottrina evoluzionistica. Ma se con la suddetta parola si vuole intendere un processo di "discendenza con modificazione" - ossia conforme alla logica della causalità ordinaria (post hoc, ergo propter hoc) ed implicante perciò la connessione genetica o ereditaria diretta e la spiegazione con gli antecedenti -, allora le cose cambiano in maniera radicale e non si traducono più in una realtà universalmente constatabile.

Secondo noi, la maggior parte della confusione tuttora perdurante in merito al problema dell'evoluzione deriva appunto dal fatto che la stragrande maggioranza degli scienziati, e in modo particolare dei biologi, non riesce a distinguere tra le due suddette accezioni, considerandole a priori come sinonime; e una tale incapacità di afferrare i veri termini del problema è senza dubbio legata alla decisione - clamorosamente anacronistica, alla fine di un secolo che ha avuto inizio con la nascita della fisica relativistica e quantistica, della psicologia del profondo e, subito dopo, anche della teoria dell'informazione - di rimanere ancorati ai paradigmi scientifici sette-ottocenteschi basati sul meccanicismo determinista. Questa situazione è quanto mai deprecabile e riflette una limitatezza di cultura e di apertura mentale che, con ogni probabilità, non è indipendente dall'eccessivo grado di specializzazione ormai implicito ai differenti dominii di ricerca.

D'altra parte, il concetto di paradigma (nel senso dell'epistemologo e storico della scienza Thomas Kuhn) rimanda automaticamente all'idea secondo cui la scienza, ben lungi dall'essere una costruzione neutra ed "obiettiva", viene invece influenzata in maniera determinante dallo Zeitgeist nel quale nasce e si sviluppa. In quanto opera umana, infatti, anche la scienza - allo stesso modo dell'arte, della filosofia e di ogni altra possibile espressione culturale - non può non poggiare su quell'insieme di postulati o assunzioni fondamentali che caratterizzano, appunto, lo "spirito del tempo" di ogni momento storico e che perciò vengono dati per scontati e seguiti in maniera più o meno passiva dalla maggior parte di coloro che in tale momento vivono.

Ora, a proposito del tema che stiamo affrontando, è sufficiente una rapida lettura delle opere principali dei padri fondatori del pensiero evoluzionistico, Lamarck e Darwin, per far capire come il paradigma all'interno del quale essi si muovevano e sviluppavano le loro argomentazioni fosse caratterizzato dalle seguenti tre assunzioni:

1 - la vita è sorta per generazione spontanea ed in forma di microorganismi;

2 – questi microorganismi si sono sempre più moltiplicati e diffusi, riunendosi poi in aggregati coloniali e trasformandosi gradualmente, col trascorrere del tempo geologico, in organismi pluricellulari via via sempre più complessi e diversificati, fino a costituire l'insieme biologico attuale - uomo compreso;

3 - nel processo di genesi, trasformazione e complessificazione della vita non hanno agito cause nascoste di natura metafisica, ma soltanto meccanismi di natura puramente fisica e perciò suscettibili, almeno in parte, di essere manipolati e riprodotti.

Ebbene, noi attribuiamo un significato di estrema importanza al fatto che i due primi postulati sono stati resi problematici o confutati in maniera eclatante dai risultati delle scienze paleobiologiche, mentre i1 terzo viene sempre più messo in questione da esponenti di primo piano delle scienze fisiche e psicologiche. Ci riteniamo perciò autorizzati a concluderne che l'edificio evoluzionistico, contrariamente a quanto generalmente si afferma e si crede, poggia in realtà su fondamenta così deboli, da risultare destinato a smantellarsi e a crollare.

Le argomentazioni che seguono hanno lo scopo di meglio illustrare questa nostra conclusione.

La comparsa della vita sulla Terra

La questione dell'origine della vita sulla Terra equivale ad un vero enigma, e non siamo certamente gli unici ad affermarlo. Già una personalità molto apprezzata dai darwinisti come il biologo e Premio Nobel Jacques Monod, ad esempio, ha riconosciuto questo fatto con grande chiarezza nella sua ben nota opera Il caso e la necessità. "Il problema più grave", scriveva Monod, "consiste nell'origine del codice genetico e del suo meccanismo di traduzione. Più propriamente, invece che di 'problema', si dovrebbe parlare di enigma. Il codice non ha senso se non è tradotto. Il meccanismo traduttore della cellula moderna comporta almeno cinquanta costituenti macromolecolari, anch'essi codificati nel DNA. Il codice genetico può dunque essere tradotto solo dai prodotti stessi della traduzione. E' questa l'espressione moderna dell'omne vivum ex ovo" (1). Ancor più di recente, è stato nientemeno che Sir Francis Crick, uno dei due scopritori della struttura a doppia elica del DNA, a voltare le spalle in modo clamoroso all'idea della generazione spontanea della vita in seno ad un ipotetico "brodo prebiotico" formatosi sulla ancora calda superficie del nostro pianeta durante le prime tappe della sua storia, per immaginarne la provenienza da fuori della Terra... a bordo di una navicella spaziale aliena! (2).

L'unico fatto certo è che la vita, secondo quanto emerge dalle ricerche paleobioiogiche, risulta essere antica almeno quanto le più antiche rocce terrestri. Apparentemente essa è comparsa all'improvviso sulla Terra, sotto forma di Cianobatteri fotosintetizzanti, nel momento stesso in cui le condizioni di consolidamento e le temperature superficiali della crosta divennero tali da permetterne l'esistenza. E il modo in cui ciò è avvenuto, lo ripetiamo, rappresenta un enigma inquietante, sicuramente il più grande di quelli presentatici dalle scienze biologiche (3).

La discontinuità nel decorso storico della vita.

Se gettiamo, uno sguardo d'insieme su tutta la storia della vita senza soffermarci sui dettagli, non vi è dubbio che questa possa apparirci come la rappresentazione di una grandiosa epopea di progresso: prima gli organismi unicellulari privi di nucleo o Procarioti, poi gli organismi dotati di nucleo o Eucarioti; tra gli Eucarioti, prima gli unicellulari, poi i pluricellulari; e, tra i pluricellulari, prima gli invertebrati e i Vertebrati privi di mascelle, poi i Pesci, quindi gli Anfibi, successivamente i Rettili, infine i Mammiferi e gli Uccelli e, come ultima tappa, gli esseri umani. Nel dominio delle scienze, comunque, i dettagli hanno un'importanza fondamentale e mostrano chiaramente come tutta questa epopea consista, in realtà, in una miriade di episodi per lo più privi di connessioni causali dirette tra loro. Non ne scaturisce affatto, insomma, nè il grande albero filogenetico" nè la complessificazione graduale e crescente prevista dal secondo postulato del paradigma evoluzionistico.

Sebbene decine di esempi possano essere citati a sostegno di questa affermazione, sarà qui sufficiente ricordare i più vistosi. Le più antiche forme di vita - consistenti, come già si è detto, in microorganismi cianobatterici - sono persistite per almeno 2 miliardi e mezzo di anni senza, generare alcuna novità degna di rilievo. Poi, per circa 700 milioni di anni, accanto a tali forme sono vissuti unicamente microorganismi dotati di nucleo: più grandi e complessi dei loro più anziani conviventi ma, a quanto risulta, del tutto incapaci di aggregarsi in colonie per dare origine alla vita pluricellulare. Infine, nell'arco di soli 50 milioni di anni (un tempo corrispondente a poco più di un battito di ciglia, dal punto di vista geologico), sono apparsi bruscamente, uno dopo l’altro, tre tipi di fauna pluricellulare talmente diversi tra loro e talmente vicini nel tempo, da risultare impossibile connetterli con un qualsiasi legame plausibile di "discendenza con modificazione": quello di Ediacara, quello del Tommotiano e quello di Chengjiang-Burgess. Dopo di ciò - e arriviamo così appena all'inizio della più antica delle ere fossilifere, 1a Paleozoica - flore e faune estremamente interessanti si sono succedute da un periodo all'altro e da un'era all'altra, ma nessuna novità essenziale è mai più apparsa (4). La storia della vita, insomma, non sembra affatto essersi dispiegata come un flusso di cambiamento continuo e graduale producente forme sempre più differenziate e complesse, bensì all'insegna della discontinuità e della stabilità, manifestandosi con gruppi biologici che non mostrano affatto di essere derivati gli uni dagli altri, ma semplicemente di essersi succeduti nel corso del tempo. E' una storia nel corso della quale si assiste, più o meno periodicamente e su vasta scala, ad apparizioni improvvise di forme nuove e spesso radicalmente diverse tra loro, le quali vivono pressochè immutate per milioni di anni, prima di cessare di esistere con improvvise estinzioni destinate subito dopo ad essere seguite da nuove comparse.

In questo quadro drammatico, i famosi ed ipotetici "anelli intermedi" non trovano praticamente alcun luogo tra i gruppi biologici che si sono succeduti nel tempo. In effetti, noi non ne conosciamo nessuno che possa essere considerato tale in maniera indiscutibile; mentre tutti quegli esempi che abitualmente vengono portati per sostenere la prova della loro esistenza - come gli Anfibi Ichthyostega e Seymouria, il rettile Probainognathus, l'uccello dentato Archaeopteryx, il cetaceo Pakicetus e lo scimmione "Homo habilis": dovrebbe essere possibile menzionarne a decine, mentre sono sempre gli stessi, e possono contarsi sulle dita delle mani! -, si rivelano in realtà del tutto discutibili ad un esame più approfondito. Quanto agli ipotetici "progenitori comuni" delle categorie sistematiche superiori (tipi, classi o ordini), come il famoso "Proavis", essi non sono altro che mere illusioni o grottesche chimere, del tutto paragonabili a quelle creature fantastiche - come la Sirena, l'Ippogrifo e il Basilisco che si trovano minutamente descritte nei "bestiari" medioevali (5).

Per riassumere, si deve ribadire - in pieno accordo con il punto di vista di Cuvier ed in netta opposizione con quello di Lamarck e di Darwin - che la storia della vita non è stata caratterizzata dalla continuità. Si può senza dubbio constatare un "progresso" in questa storia, ma solo da un punto di vista molto generale e a condizione di sorvolare sui dettagli: un progresso, in ogni caso, che si è estrinsecato in modo molto diverso, e in parte perfino contrario, a quello previsto dal secondo postulato del paradigma evoluzionistico. Se ripercorriamo la storia della vita dall'inizio dell'era Paleozoica ad oggi, ad esempio, si può facilmente constatare come le flore e le faune siano decisamente cambiate da un periodo all'altro e soprattutto da un'era all'altra; ma ad un'analisi più dettagliata ci si rende conto che tali cambiamenti non hanno comportato alcuna crescita progressiva di diversificazione e di complessificazione, trattandosi - piuttosto di pure e semplici variazioni su temi fondamentali rimasti immutati da oltre mezzo miliardo di anni. Per dirla in altro modo, le flore e le faune dell'era Paleozoica non erano nè meno complesse né meno diversificate, ma semplicemente differenti da quelle delle ere successive e da quelle odierne mantenendosi in ogni caso fedeli ai piani di organizzazione anatomica ben noti a qualsiasi studente di biologia (Spugne, Celenterati, Brachiopodi, Molluschi, Echinodermi, Cordati, Artropodi, ecc.).

In quanti non hanno sufficiente familiarità con le scienze paleontologiche potrebbe insinuarsi il sospetto che la documentazione fossilifera sia ancora oggi troppo poco abbondante e rappresentativa per consentire generalizzazioni di qualsiasi sorta circa l'effettivo sviluppo storico della vita sul nostro pianeta. Nella sua opera fondamentale Sull'origine di specie mediante selezione naturale, Darwin avanzò questo dubbio appunto per scavalcare o diminuire le difficoltà che i fossili opponevano alla sua teoria. Pochi paleontologi seri, comunque, sarebbero oggi disposti a dar ragione a Darwin su questo punto fondamentale. In effetti, benchè la fossilizzazione sia in se stessa un processo dipendente da situazioni ambientali molto particolari e quindi piuttosto raro, e benchè nuove specie di piante ed animali vengano descritte in continuazione, pure ciascuna novità non invalida il quadro delle conoscenze precedenti, ma semplicemente lo perfeziona e ne precisa i dettagli, confermandone però regolarmente i connotati di discontinuità. Se le soluzioni di continuità fossero dovute semplicemente a mancanza di documentazione paleontologica, esse dovrebbero tendere a colmarsi e ad essere sempre meno evidenti via via che le ricerche proseguono e tale documentazione si arricchisce. Male cose vanno in direzione del tutto opposta (6). Riteniamo perciò che non si debba concedere alcun credito a dichiarazioni dogmatiche e sbrigative come quella del celebre zoologo ultra-darwiniano Ernst Mayr, il quale in una delle sue ultime interviste ha affermato che i paleontologi"… non sono affatto qualificati a discutere sul problema dell'evoluzione" (7). E' vero esattamente il contrario, in quanto, come ha scritto un altro grande biologo e zoologo, Pierre-Paul Grassé è appunto la paleontologia "la sola vera scienza dell'evoluzione" (8).

L'aspetto fisico e l'aspetto metafisico del mondo reale

Arrivati a questo punto della nostra esposizione, non possiamo più evitare di affrontare la questione forse più importante, legata al terzo postulato del paradigma evoluzionistico.

Abbiamo affermato che questo postulato è stato messo in questione in modo radicale dai risultati delle scienze fisiche; ma - ci si domanderà - in quale senso? Sicuramente non nel senso di autorizzarci a concludere tout court con l'ammissione dell'intervento divino nella genesi delle forme viventi, come fanno i seguaci del creazionismo fondamentalista di stampo anglosassone. Secondo questi, la verità starebbe soltanto ed esclusivamente in ciò che è scritto nella Bibbia, da accettare nel suo puro significato letterale; per cui si dovrebbe accettare con tranquillità - ad esempio - non soltanto l'idea dell'esistenza dell'arca di Noè e del Diluvio Universale, ma anche quella di una Terra non più antica di poche migliaia di anni!

E' chiaro che, da uomini di scienza quali siamo, ci sentiamo in obbligo di delineare un paradigma alternativo a quello evoluzionistico senza allontanarci dai confini delle pure argomentazioni di tipo scientifico e perciò prescindendo da qualsiasi fideismo di natura religiosa. Ed è solo perchè abbiamo in vista questo obiettivo, che riteniamo necessario - pur essendo e rimanendo biologi - effettuare un salto transdisciplinare in direzione delle scienze fisiche e psicologiche.

Come si sa, al giorno d'oggi il quadro panoramico della fisica teorica è estremamente diversificato. Per i nostri scopi, comunque, non è importante fermarsi ad analizzare i vari elementi di questo quadro, ma soltanto sottolineare il fatto che la posizione teorica ortodossa - corrispondente alla cosiddetta "interpretazione di Copenhagen", della meccanica quantistica - rimane ben lungi dall'essere la sola accettata. Di contro ad essa, infatti, si ergono posizioni eterodosse più che rispettabili, frequentemente rappresentate da scienziati che non esitano ad ampliare il concetto di realtà e a postulare come necessaria l'esistenza di livelli di realtà inaccessibili ai nostri sistemi fisici di percezione e, più in generale, ai metodi di ricerca di tipo galileiano o "scientifico" in senso moderno.

Bernard d'Espagnat, ad esempio, sostiene che a partire dal 1982 - anno in cui Alain Aspect ha realizzato il suo esperimento rivolto a verificare la sussistenza o meno delle "ineguaglianze di Bell" -, si deve considerare come ormai acquisito che la realtà non può essere più considerata come un qualcosa di indipendente dall'uomo che osserva e di cui sia possibile dare una descrizione completa ed oggettiva (9). Per avere un'idea corretta della realtà, dobbiamo perciò scartare definitivamente la pretesa cartesiana di scomporla in parti costituenti ed indipendenti tra loro, così come si farebbe con una macchina qualsiasi. Se smontiamo il motore di un'automobile in tutte le sue parti, analizziamo le relazioni meccaniche intercorrenti fra queste ultime e poi rimontiamo il tutto, possiamo ben dire di averne compreso il funzionamento. Ma se, iniziando dalle parti meccaniche di quel motore, ci impegnamo ad esplorare il funzionamento degli atomi e delle particelle subatomiche che li compongono, allora si entra in un mondo completamente diverso e stranamente sfuggente, circa la natura effettiva del quale non più è possibile affermare alcunchè di certo. A seconda del modo con cui tentiamo di osservare gli atomi e le particelle, infatti, questi ci si presenteranno o come "dissolti in onde" o come 'solidificati in corpuscoli" e, in generale, si faranno sistematicamente beffe di noi per apparirci nel modo in cui a noi più piacerà che ci appaiano. E non è tutto. Scopriremo ancora, infatti, che due entità subatomiche, benchè separate da distanze di ordine galattico, si manterranno in relazione talmente intima fra loro, che ogni misura eseguita su ciascuna di esse si ripercuoterà istantaneamente sull'altra. E questo appunto in virtù del fatto che il mondo fisico costituisce un tutto indivisibile, superiore alla semplice somma delle sue parti (contrariamente a ciò che credevano Cartesio e tutti i razionalisti che lo hanno seguito ed inafferrabile dal campo estremamente limitato di ogni nostra osservazione. La "realtà vera", insomma, è destinata a rimanere sistematicamente velata dalle sue apparenze, e la scienza non potrà mai fare altro che limitarsi ad analizzare e studiare in tutti i suoi dettagli questo velame senza speranza alcuna di poterlo mai squarciare per osservare ciò che vi è dietro. La realtà è composta di almeno due livelli distinti, rispettivamente fenomenico e noumenico nel senso kantiano dei termini.

Anche David Bohm è giunto alla conclusione che la realtà si compone di due livelli tra loro ben diconstinti: quello "esplicato", che abbraccerebbe la molteplicità dei fenomeni fisici osservabili; e quello "implicato", che costituirebbe l'unitario, necessario ed inosservabile fondamento esistenziale di tale molteplicità fenomenica (10). Allo stesso modo dei vortici che si formano nelle acque di un fiume - i quali, sebbene si manifestino come entità separate e distinte, sono in ogni caso prodotti dalla totalità del fluido all'interno del quale continuamente si formano e si estinguono -, così dietro ad ogni evoluzione fisica osservabile vi sarebbe una fondamentale stabilità di base. Il volto più profondo della realtà, insomma, sarebbe inosservabile, immutabile ed eterno.

Nello stesso solco tracciato da d'Espagnat e da Bohm, anche Basarab Nicolescu, dopo avere affrontato il problema della realtà, giunge alle conclusioni che essa non consiste soltanto di ciò che comunemente viene chiamato Natura (ossia l'insieme di leggi fisiche conducenti alla divergenza entropica ed alla frammentata molteplicità di tutti i fenomeni osservabili), ma anche di una Anti-Natura (ossia l'insieme di leggi fisiche conducenti alla convergenza nega-entropica e all'integrata unità degli stessi-fenomeni). La complementarità antagonista di Natura e Anti-Natura, d'altra parte, può sussistere unicamente in quanto integrata da una Trans-Natura occupante un più elevato livello di realtà; e il passaggio a questo più elevato livello di realtà comporta necessariamente una discontinuità in seno al mondo reale (11).

Le implicazioni di ciò che precede sono - a parer nostro - clamorose, in quanto non riducono più la visione della realtà alla sua sola dimensione fisica, ma vi reintroducono in modo potente anche quella dimensione metafisica che il pensiero positivista si era illuso di bandire per sempre da ogni discussione scientifica. Su questo terreno, la rimessa in questione anche del terzo postulato del paradigma evoluzionistico diviene perfettamente appropriata.

Ritorno agli archetipi della visione goethiana

Dopo quanto è stato delineato, ci sembra difficile sfuggire alle conclusioni che ne derivano. Se la realtà fisica costituisce una totalità indivisibile che include l'Uomo e che non può essere ricondotta alla semplice somma delle sue parti, allora essa deve necessariamente implicare un fattore organizzante che connetta queste ultime in maniera coerente e conforme ad un progetto o proposito, ossia ad un'istanza di natura eminentemente psichica. Ne risulta, pertanto, che la stessa realtà fisica non può più essere concepita come composta esclusivamente di "materia" o massa-energia, ma anche di "forma" o informazione. La sostanza fisica della realtà, insomma, risulta essere strutturata secondo idee o archetipi, i quali si manifestano all'uomo di scienza e si offrono ai suoi strumenti di indagine esclusivamente sotto forma di "insiemi di proiezioni" o "spettri di apparenze".

Per queste ragioni, la via più logica per risolvere i problemi di fondo della biologia è - a nostro avviso - quella di affrontarli alla luce di un paradigma che sia proprio a questa disciplina, ossia indipendente da quello che viene utilizzato per i livelli inferiori di complessità naturale (sebbene esistano ovviamente connessioni e corrisponde questi ultimi). E ciò è esattamente il contrario - salvo rare eccezioni - di quanto viene fatto al giorno d'oggi dalla biologia ufficiale, il cui dogma riduzionista si manifesta da una parte nella volontà di ricondurre il complesso all'elementare o la totalità alla semplice somma delle sue parti (come risulta abbondantemente dal credo della biologia molecolare e dal castello di speculazioni relative all'"abiogenesi") e, dall'altra, nel gioco puro e semplice del determinismo implicito alle ipotesi evoluzionistiche. Invece di ostinarsi in questa via senza uscita, ci sembra molto più ragionevole tentare di comprendere le proprietà degli esseri viventi sulla base di un paradigma olistico od organicistico (11), vale a dire considerare qualsiasi sistema biologico - nella sua configurazione sia spaziale che temporale ed a qualsiasi livello di complessità: dalla macromolecola alla cellula, dall'organo all'organismo, dal gruppo sistematico alla comunità ecologica - come un tutto coerente ed unitario in cui l'elemento informazionale che stabilisce il quadro delle relazioni tra le parti trovi la sua ragion d'essere in un determinato archetipo, o "modello psichico", esistente in un più profondo o elevato livello di realtà.

"Faccio parte di quel gruppo di scienziati che non professa alcuna religione tradizionale, ma, nonostante ciò, nega che l'universo sia qualcosa di accidentale, senza uno scopo", scrive il fisico inglese Paul Davies nel suo ultimo libro. "Attraverso il mio lavoro scientifico sono giunto a credere sempre più fermamente che l’universo fisico è costruito con un'ingegnosità così sorprendente che non riesco a considerarlo meramente come un fatto puro e semplice. Mi pare che ci debba essere un livello più profondo di spiegazione. Se si desidera chiamare tale livello 'Dio' è una questione di gusto e di definizione. Sono, inoltre, giunto alla conclusione che la mente - ossia la nostra coscienza consapevole del mondo - non è un carattere insensato e fortuito della natura, ma un aspetto assolutamente fondamentale della realtà. Questo non vuol dire che noi siamo il fine per cui esiste l'universo. Tutt'altro. Credo, però, che noi esseri umani siamo una parte essenziale nell'organizzazione del mondo" (13).

Ma allora, se si ammette l'importanza del ruolo svolto dalla psiche nell'organizzazione della realtà (e per psiche vogliamo qui intendere non quella soggettiva o individuale, ma quella oggettiva o collettiva, vale a dire comune a tutta l'umanità), diviene conseguente riprendere nella più seria considerazione le ricerche del grande psicologo elvetico Carl Gustav Jung (1875-1961) e della sua scuola circa gli Urtypen operanti da un più elevato o profondo livello di realtà e circa i loro ambiti "proiettivi", o manifestazioni particolari, nel livello di realtà ordinario. D'altra parte gli archetipi di Jung - come già quelli di Wolfgang von Goethe (1749-1832), il grandissimo scienziato e poeta tedesco di cui Jung, fra l'altro, si riteneva discendente - non fanno altro che delineare da un punto di vista scientifico moderno ciò che le idee di Platone e le forme di Aristotele - direttamente adottate da Carlo Linneo (1707-1778) e da Cuvier nelle loro opere - rappresentavano nel pensiero del mondo antico. E non è certo un caso se Jung - proprio come faceva Platone parlando dell'intelletto - è giunto alla conclusione che l'insieme della vita inconscia (sogni, impulsi, forme mitologiche, creatività artistica e scientifica, ecc.) riflette l'universo degli archetipi, traendo da essi la sua energia psichica e trasferendoli continuamente nella personalità e nel comportamento individuale.

Com'è noto, nella concezione di Jung (14) gli archetipi sono realtà "psicoidi" - ossia cosmiche e psicologiche al medesimo tempo - le quali presiedono, in qualità di istanze morfogenetiche viventi e pulsanti, a tutto ciò che si manifesta nel dominio spazio-temporale ordinario. Del resto - faceva intravedere Jung nell'introduzione alla traduzione dell'I-King, o Libro delle mutazioni cinese (15) -, già i pensatori dell'antica Cina si erano resi conto come i fenomeni cosmici si presentino sotto un certo numero di varianti e di combinazioni, le quali magari ritornano in modi diversi ma, in certo qual modo, sono sempre le stesse; e questo gioco di combinazioni, che entro determinati limiti è persino possibile prevedere, costituisce forse una delle migliori prove della "circolarità" e compiutezza armonica del mondo. D'altra parte, allorchè un determinato insieme di eventi risulta svolgersi in particolare sintonia con specifiche istanze archetipiche, possono verificarsi i cosiddetti fenomeni di sincronicità. In casi di questo genere si ha come un intervento "trasgressivo" dell'archetipo, il quale altera e travalica le leggi fisiche del livello ordinario di realtà, producendovi connessioni di eventi dense di significato ma impossibili da spiegare in maniera deterministica. I concetti sulla sincronicità, esposti per la prima volta da Jung nei 1952 assieme al celebre fisico Wolfgang Pauli (16), sono stati successivamente ripresi e sviluppati, sia da alcuni suoi grandi allievi come Marie-Louise von Franz (17) e Carl Alfred Meier (18), sia da autori come il fisico David Peat (19), il biologo Hansueli Etter e il filosofo Michel Cazenave (20) (Meier, in particolare, risulta essere particolarmente interessante allorché postula che nel rapporto tra corpo e psiche, tra archetipi biologici e organismi, sussista una regolare relazione di sincronicità). Si tratta quindi di concetti attualissimi, suscettibili di ulteriori sviluppi nel campo tanto della fisica quanto della biologia e della psicologia.

Di fronte ai fenomeni di sincronicità, nulla può impedirci di pensare che il livello di realtà ordinario, generalmente considerato come esistente di per sè, diventi invece come un mezzo per tradurre sul piano causale e spazio-temporale gli impulsi archetipici volta per volta trasmessi, in maniera acausale, da un livello di realtà più elevato e non condizionato dallo spazio e dal tempo. Nei confronti del problema della genesi delle forme biologiche, quindi, nulla può impedirci di pensare che il sistema di tutti i viventi sulla Terra sia stato modellato, in ogni fase della sua storia, da impulsi simili ma provenienti da archetipi diversi o da impulsi differenti ma provenienti da un medesimo archetipo, il quale sia giunto così a manifestare un suo attributo per poi ritirarlo e, al suo posto, sostituirlo con l'emanazione di un nuovo attributo; oppure che nella costellazione degli archetipi alcuni elementi abbiano cessato di manifestarsi in modo definitivo mentre altri abbiano cominciato a farlo in maniera del tatto nuova. Secondo questa interpretazione, la fenomenologia naturale muterebbe continuamente e in maniera significativa, ma non per effetto di processi causali dispiegantisi nello spazio e nel tempo nel modo prescritto dal paradigma evoluzionistico, bensì per effetto di processi acausali operanti da un livello di realtà più elevato o profondo, situato oltre lo spazio e il tempo. D'altra parte, sebbene rimanga misteriosa la maniera con cui gli archetipi si manifestano, o cessano di manifestarsi, sul piano della realtà fisica ordinaria, dovrebbe ormai risultare evidente come tale loro azione non possa svolgersi che all'insegna della discontinuità. Ciascun archetipo essendo un tutto organico e coerente, infatti, esso non può "trasformarsi" in un altro, ma solo presentarsi o cessare di presentarsi, da solo o come elemento integratore di più archetipi di rango inferiore e, al medesimo tempo, come elemento integrante di un archetipo di rango superiore. Il Systema Naturae appare così come la proiezione sul piano fisico ordinario di un immenso ordine gerarchico di archetipi, il più vasto dei quali - situato alla sommità di quest'ordine e strutturante perciò l'insieme ilemorfico dell'Universo - coincide con l'idea di Legge Suprema del Cosmo.

Da una prospettiva filosofica generale, non possiamo perciò non sentirci in piena sintonia con tutti i naturalisti che si sono mantenuti nel solco della morfologia goethiana, quali il botanico Wilhelm Troll (21), gli zoologi Jakob von Uexkull (22), Adolf Portmann (23) e Louis Bounoure (24) e il fisico Walter Heitler (25). Anche per noi, determinismo e finalità giocano il ruolo di chiavi complementari per spiegare la natura: in ragione, cioè, del grado di complessità del sistema fisico considerato. Nei problemi più semplici, come quelli contemplati da casi fondamentali della fisica quali l’oscillatore armonico o il problema dei due corpi (ad es. il movimento del pendolo o quello della Terra intorno al Sole), per i quali il determinismo è in condizione di spiegare tutto senza difficoltà, si potrà benissimo fare a meno di qualsiasi presupposto finalistico. Ma nei problemi molto complessi, come quelli concernenti le strutture, i comportamenti, il divenire e le interrelazioni dei sistemi viventi, qualsiasi determinismo non potrà che rivelarsi impotente e forse non vi sarà che la finalità a fornire il postulato di base per ogni appropriata spiegazione. Questa finalità, noi la vediamo permeare tutto il mondo reale e riflettersi in manifestazioni archetipiche le quali, ben lungi dal tradurre istanze cieche e caoticamente sbrigliate, obbediscono invece alla Logica Maior di un libero e supremo potere creativo, radiante da ogni angolo di questo straordinario universo e perennemente colmo di significato, fantasia e formidabile senso estetico.

Nota dell'autore. Le idee di fondo di questo articolo - che dedico a mia moglie Nora rappresentano il risultato di molti anni di studi e riflessioni e concludono un tracciato della mia vita intellettuale che in futuro potrà essere approfondito e perfezionato, ma non certo modificato in maniera sostanziale. Tengo anche ad esprimere tutta la mia gratitudine e devozione al Prof. Alfredo Sacchetti e al Prof. Sergio Bernardi, che con la loro amicizia, bontà ed immensa cultura hanno contribuito ad illuminarmi e ad aprirmi non poche prospettive.

1. Jacques Monod, II casa e la necessità (Mondadori, Milano 1970, p. 116).

2. Francis Crick, Life itself: its origin and nature (Macdonald, Londra 1981; tr. it.: L'origine della vita, Garzanti, Milano 1983). Ancora più esplicito, e di molto più ampio respiro, è l’affascinante volume di Sir Fred Hoyle, The Intelligent Universe (Dorling Kindersley, Londra 1983; tr. it.: L'universo intelligente, Mondadori, Milano 1984).

3. Sul problema dell'origine della vita, cfr.: Georges Salet, Hasard et certitude (Editions Scientifiques Saint-Edme, Parigi 1972); Andrew Scott, The creation of life: past, future, alien (Blackwell, Londra 1987); Jean Swyngedauw, A l'origine de la vie le hasard? (O.E.LL., Parigi 1990).

4. Cfr.: Stephen Jay Gould, Wonderful Life (Norton, New York & Londra 1990; tr. it.: La vita meravigliosa, Feltrinelli, Milano 1990), le cui generalizzazioni filosofiche basate sulla "contingenza naturale" lasciano, in ogni caso, tutto il tempo che trovano.

5. Cfr.: Giuseppe Sermonti & Roberto Fondi, Dopo Darwin: critica all'evoluzionismo (Rusconi, Milano 1980), aggiornato al 1984 con Màs allà de Darwin (Ediciones UNSTA, 9 de Julio 165, 4000 S. Miguel de Tucumàn, Argentina). Si leggano anche il lavoro pionieristico di Oskar Kuhn, Typologische Betrachtungsweise und Palaontologie (in "Acta Biotheoretica", 6, 1942) e la recente e coraggiosa opera di Michael Denton, Evolution: A Theory in Crisis (Burnett Books, Londra 1985), nonchè i libri assai eloquenti di Marcello Barbieri, La teoria semantica dell'evoluzione (Boringhieri, Torino 1985), di Robert G.B. Reid, Evolutionary theory: the unfinished synthesis (Croom Helm, London/Sydney 1985) e di Rémy Chauvin, La biologie de l'esprit (Editions du Rocher, Monaco 1985) e Dieu des fourmis, Dieu des étoiles (Belfond/Le Pré aux Clercs, Parigi 1988).

6. Si vedano in proposito: Norman D. Newell, Adeguacy of the fossil record (in "Journal of Paleontology", 33, 488-499, 1959); A. B. Shaw, Time in stratigraphy (McGraw-Hill, New York 1964); Chris R. C. Paul, The adequacy of the fossil record, in Joysey & Friday (Eds.), "Problems of phylogenetic reconstruction" (Academic Press, Londra 1982).

7. In "Omni", Maggio 1983.

8. Pierre-Paul Grassé, L'évolution du vivant (Michel, Paris 1973; tr. ital.: L'evoluzione del vivente, Adelphi, Milano 1979, p. 23).

9. Bernard d'Espagnat, A la recherche du réel (Bordar, Parigi 1981; tr. it.: Alla ricerca del reale, Boringhieri; Torino 1983), Un atome de sagesse (Seuil, Parigi 1982) e (con Etienne Klein) Regards sur la matière. Des quanta et des choses (Fayard, Parigi 1993).

10. Di David Bohm, cfr.: Wholeness and the Implicate Order (Routledge & Kegan, Londres 1980); Causality and chance in modern physics (Routledge & Kegan, Londra 1984); La danse de !'esprit, ou le sens déployé (Editions Seveyrat, La Varenne-Saint-Hilaire 1989).

11. Basarab Nicolescu, Nous, la particule et le monde (Editions Le Mail, Parigi 1985), nonchè la relazione Levels of Complexity and Levels of Reality: Nature as Trans-Nature, da lui tenuta alla Sessione Plenaria della Pontificia Academia Scientiarum su "The Emergente of Complexity in Mathematics, Physics, Chemistry and Biology", Città del Vaticano, Roma 26-31 ottobre 1992.

12. Cfr.: Roberto Fondi, La révolution organiciste (Livre-Club du Labyrinthe, Parigi 1986). Si veda anche il bellissimo volume di Ervin Laszlo, Aux racines de I'univers (Fayard, Parigi 1992; tr. it.: Alle radici dell'universo, Sperling & Kupfer, Milano 1993).

13. Paul Davies, The mind of God (Orion, Londra 1992; tr. it.: La mente di Dio, Mondadori, Milano 1993, p. 7). Idee corrispondenti erano già state esposte nel citato volume di Sir Fred Hoyle, nonchè in quello di David Bohm & David F. Peat, La coscience et 1'unívers (Editions du Rocher, Parigi 1990).

14. Cfr.: Jolande Jacobi, La psicologia di C.G. ]ung (Boringhieri, Torino 1965); E.A. Bennet, C.G. Jung, (Barrie & Rockliff, Londra 1961: tr. it. Rizzoli, Milano 1961); Carl Gustav Jung & Marie-Louise von Franz (a cura di), Man and his symbols (Aldus Books, Londra 1964; tr. it.: L'uomo e i suoi simboli, Casini, Firenze/Roma 1967).

15. Cari Gustav Jung, Prefazione all' I King (il libro dei mutamenti) (Astrolabio, Roma 1950).

16. Wolfgang Pauli & Carl Gustav Jung, Naturerklarung und Psyche (Rascher Verlag, Zurigo 1952).

17. Marie-Louise von Franz, Zahl und Zeit (Klett, Stoccarda 1970; tr. fr.: Nombre et temps, La Fontaine de Pierre, Parigi 1983); Psyche und Materie (Daimon Verlag, Einsiedeln 1988; tr. it.: Psiche e Materia, Bollati Boringhieri, Torino 1992).

18. Carl Albert Meier, Zeitgemasse Probleme der Traumforschung, (in: EHT Zurich, Kultur- und Staatswissenschaftliche Schriften, vol. 75, 1950).

19. F. David Peat, Sinchronicitcé : le pont entre l'esprit et la matière (Editions Le Mail, Parigi 1988).

20. Hubert Reeves, Michel Cazenave, P. Solié, Karl Pribram, Hansueli U. Etter & Marie-Louise von Franz, La synchronicité, l’ame et la science (Poiesis„ Parigi 1984).

21. Wilhelm Troll, Gestalt und Urbild (in "Gestalt", H. 2, 1941); Praktische Einfuhrung in die Pflazenmorphologie (Fischer, Jena 1954).

22. Di quel grande isolato che è stato Jakob von Uexkull possono qui ricordarsi: Theoretische Biologie (tr. ingl.: Theoretical Biology, Kegan, Trench, Trubner & Co., Londra 1926); con Georg Kriszat, Streifzuge durch Umwelten von Tieren und Menschen (tr. it.: Ambiente e comportamento, Il Saggiatore, Milano 1967); Der unsterbliche Geist in der Natur (tr. it.: L’immortale spirito nella natura, Laterza, Bari 1947).

23. Di Adolf Portnlann, si vedano: Biologische Fragmente zu einer Lehre vom Menschen (Schwabe Basilea 1969); Die Tiergestalt (tr.it.: Le forme degli animali, Feltrinelli, Milano 1960); Das Tier als soziales Wesen (tr. ingl.: Animals as social beings, Hutchinson, Londra 1961); Aufbruch der Lebensforchung (tr. it.: Le forme viventi: nuove prospettive della biologia, Adelphi, Milano 1969); Biologie und Geist (Suhrkamp, Zurigo 1973).

24. Louis Bounoure, Déterminisme et fi nalité: double loi de la vie (Flammarion, Parigi 1957).

25. Walter Heitler, Der Mensch und die naturwissenschaftliche Erkenntnis (Vieweg, Braunschweig 1962; tr. it.: Causalità e teleologia nelle scienze della natura, Boringhieri, Torino 1967).

*Il Prof. Roberto Fondi è paleontologo. Dottore in Scienze Naturali. Professore di Paleontologia all’Università di Siena. Membro del "Centro Internazionale di Comparazione e Sintesi". E’ autore di diversi testi scientifici, indicati nella bibliografia.

Indirizzo: Università di Siena, Dipartimento di Scienze della Terra, Via della Cerchia, 3 – 53100- SIENA- Italy.